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Di me che cerco di ritrovare i colori della memoria, di luoghi abitati, orizzonti intravisti, impressioni di dolori vissuti… o pura casualità e provo a sottrarre alla dimensione del tempo le trame inutili, addensare e rendere materico il significato, creare una distanza e uno spessore tra i pieni e i vuoti, filo costante della narrazione, per ultimo trattenere e restituire l’essenziale.

Giugno 2022 Elio Rumma

Oggi la storia si è dissolta in tante storie, le ideologie una volta domi - nanti, si sono frantumate nella rappresentazione quotidiana della realtà, in piccole intuizioni, pensieri ed ipotesi che si traducono in parole ed azioni prive di forza creativa. Anche l’arte vive uno stato di crisi e di confusione non esistendo più canoni di riferimento e in questo melting pot di contaminazioni, vediamo emergere figure che spesso è difficile definire. Non è sicuramente così per Angela Filippini, artista coraggiosa, solitaria e coerente che ha saputo interiorizzare nella propria estetica, nella propria ricerca stilistica, la lezione di grandi maestri del 900. Scrivere quindi della pittura di Angela Filippini, significa dare una qualche risposta alla persistenza nel mondo contemporaneo dell’arte astratta. Se pensiamo alla cultura contemporanea, nella sua globalità, nel suo essere inevitabilmente internazionale e transgenerazionale e forzosamente in contatto con la cultura social e televisiva, la pittura astratta, nelle sue varie espressioni, sembra rappresentare una linea di resistenza estrema, nell’anteporre all’arte mass-mediatica il primato dell’emozione creativa e del rapporto privilegiato, tra l’artista e il fruitore dell’opera. La scelta della Filippini in questo senso è totale. Le trame delle sue tele destrutturate, l’uso sapiente e frequente del bianco, dimostrano che non teme il confronto con lo spettatore attento o superficiale, attratto dalla semplice complessità delle sue opere. Angela, novella Penelope del XXI secolo, non tesse la sua tela bensì la scompone e la svuota fin da subito. I fili servono per essere sapientemente collocati nel progetto della composizione, sono la parte essenziale per fare risaltare gli squarci che improvvisamente si aprono come voragini in cui disper - dere il proprio io. 

È un arte fuori da canoni prestabiliti, non imita nulla, non è il vuoto replicante di un mondo incantato, piuttosto indica una possibilità, una via di fuga, dalla realtà che ci circonda. E’ un invito a fuggire certi manierismi popolari e ad essere autentici, selvaggi, ora più che mai. La pittura della Filippini, trae origine e linfa dal continuo dialogo interiore, alla ricerca dell’equilibrio formale e sostanziale, tra la materia e la cromaticità, equilibrio che è poi conoscenza di sé stessa e quindi del mondo. Tuttavia questa interiorità non è una chiusura verso l’altro ma è il suo approccio all’arte contemporanea, intesa come elemento dialogico in una società che sembra aver smarrito il senso di Umanità. Le opere di Angela potrebbero apparire complesse per chi non è sufficientemente attrezzato di sapere artistico contemporaneo. Ma anche per chi ha vissuto la pittura astratta o aniconica degli anni 70’ e 80’ del secolo scorso, cioè di quella fase di disgregazione dei significati più profondi e spirituali, negli anni della interpretazione semiologica, dell’analisi linguistica, non è immediato ma è evidente, ricondurre questa ricerca e, quindi questi lavori, ad una dimensione altra, più alta e che richiede appunto spiritualità e devozione alla bellezza. Se la sottraiamo a quella cultura, alla cultura oggi dominante, allora la ricerca artistica di Angela Filippini è di chi crede nella necessità dell’astrazione e nei significati più profondi della pittura e può riaprire offuscati orizzonti e disvelarne di nuovi. Noi da parte nostra, in questo XXI secolo così cyber-dipendente, elettronicamente virtuale, ci aspettiamo che la nostra artista ci regali un’ulteriore emozione senza tempo, reale e profonda, e che semplicemente ci faccia battere il cuore per la bellezza della sua arte. Roma, 

Trame d’arte, racconti interiori 06 Antonella Giovenzana

Una ricerca condotta a doppio filo nella moda e nell’arte si intreccia nei lavori di Angela Filippini, che sarebbe superficiale classificare semplicemente come lavori materici. Là, dove le opere dei più accreditati artisti moderni e contemporanei si concretizzano nell’aggiunta e nella sovrapposizione di materiali diversi sulla superficie delle tela, l’artista va a sottrarre parte del materiale che costituisce la tela stessa. La sua diventa così un’arte di sottrazione dove l’azione del togliere fili di trama e ordito le permettono di intessere un racconto lirico e astratto al tempo stesso. La tela non è più un supporto, ma diventa protagonista dell’opera attraverso una tecnica particolare di sfilature e restituzioni e costituisce il punto di partenza per indagare nuove possibilità e altri significati. L’esperienza maturata nel campo del fashion ha portato l’artista ad approfondire da autodidatta la potenzialità espressiva di filati e tessuti che utilizza come strumento ideale perché duttile al suo volere e funzionale alla sua creatività. Lo sguardo dell’artista è spesso rivolto alla natura con boschi congelati nel loro aspetto invernale o in visioni notturne. Sono paesaggi che poco o nulla hanno a che vedere con i paesaggi reali che costituiscono l’ambiente marino e solare della costa adriatica dove l’artista vive. Sono paesaggi riconducibili a ricordi e sensazioni sperimentate o solo immaginate poi rielaborate artisticamente, che diventano paesaggi dell’anima. Così l’azione distruttiva condotta sulla tela diventa quasi un rituale catartico di scavo interiore che riesce a tirar fuori dalla tela l’anima delle cose. Ma anche l’anima dell’artista. 

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